La sfilata si ferma per l'abbraccio al vecio dell'Abissinia Stampa

Dalle autorità l'omaggio commosso a Cristiano Del Pozzo. Alle spalle due guerre e il lager. «Mi ha salvato la fede»

 I gruppi di alpini hanno sfilato per le vie della città senza interruzioni, senza fermate. Il corteo è stato un lungo serpentone di uomini in divisa e penna nera in testa, organizzato proprio per evitare i blocchi e limitare le soste. Ma nel pomeriggio di ieri, mentre davanti alle tribune d'onore di piazza Matteotti sfilava la sezione di Asiago, tutto si è fermato per un unico, lunghissimo attimo. E tutti i presenti si sono alzati, con gli occhi lucidi e il cuore in gola, a rendere omaggio a un personaggio che ha fatto la storia del nostro Paese.
Cristiano Del Pozzo è nato nel 1913 ed è probabilmente tra le penne nere più anziane di questa 83ª adunata. Ma non è l'età ad emozionare pubblico e autorità: è l'uomo e la sua impresa. Del Pozzo è un reduce dell'Abissinia, la guerra che circa 100mila italiani combatterono in Etiopia nel 1936 su ordine di Mussolini. In suo onore scendono dalla tribuna delle autorità il sottosegretario alle politiche della famiglia, Carlo Giovanardi, il presidente Ana nazionale, Corrado Perona, il sindaco di Bergamo, Franco Tentorio, e il presidente della provincia, Ettore Pirovano. Un saluto che dura una manciata di minuti, tra l'ovazione delle migliaia di persone che assistono al corteo e Del Pozzo che si alza a sua volta dalla sedia a rotelle, che lo accompagna lungo percorso, per ringraziare Bergamo e le cariche che gli stanno di fronte. Cappello di alpino in testa e divisa militare indosso, su cui mostra fiero le medaglie all'onore che si è guadagnato in guerra, Del Pozzo guarda commosso la folla di Bergamo che non smette di applaudirlo e scattargli fotografie.

 

 


Lo sguardo è lucido e le parole rotte dall'emozione, ma la memoria è ancora viva: «Mi suono arruolato volontario per andare in Etiopia – ci racconta – e di quel periodo ricordo tanta miseria. Quando stavo ad Addis Abeba erano molti i bambini che morivano di fame. Conoscevano solo quella e la paura della guerra. Nel vedere i soldati italiani, tantissimi ci venivano incontro dicendo "Guytana barguta", "dammi un po' di pane". Sono trascorsi tantissimi anni da allora, ma le facce di quei bambini e la loro fame le ho stampate nella mente».
L'altra medaglia al valore che Del Pozzo ha appuntato sulla divisa è della guerra in Libia. La seconda guerra mondiale lo richiama alle armi e Del Pozzo deve partire per l'Africa. L'Italia però perde sul fronte libico e nel 1943 Del Pozzo rientra a Bolzano, dove era arruolato, ma viene fatto subito prigioniero e recluso in un campo di concentramento in Austria. La sua lunga e dolorosa prigionia non gli fa perdere la speranza e soprattutto la fede. «Ho passato momenti duri, ma ho fatto un voto a Sant'Antonio: se mi avesse permesso di portare a casa la pelle, sarei andato in pellegrinaggio a Padova ogni anno», racconta la penna nera, mostrandoci la medaglia del santo con la quale è stato insignito lo scorso anno proprio per la sua devozione. Uscito vivo dal campo di concentramento e sopravvissuto al fronte, il reduce di Asiago ha mantenuto il suo voto e ogni anno celebra il suo compleanno, il 1° dicembre, a Padova: prende da solo il pullman che da Rotzo, uno dei sette paesi dell'Altopiano di Asiago, lo porta dal santo, dove prega e porta ai frati sacchi di patate e verdure del suo orto. Mentre scorrono i ricordi, le penne nere e i tanti partecipanti all'adunata lo circondano e ascoltano con ammirazione la sua storia. E lui commenta commosso: «Sono vicino ai bergamaschi: per cinque anni ho lavorato in Val Brembana costruendo dighe. Quando ero giovane si andava spesso lontano in cerca di lavoro, perché da noi scarseggiava. Qui ho conosciuto bene questa gente, disponibile e ospitale. Allora come oggi. Ringrazio Bergamo per gli onori ricevuti e per l'emozione davvero grande di questa adunata».
 

Laura Generali il 10/05/2010 - L'Eco di Bergamo