Rulla il «Trentatré», la città si mette al passo Stampa

Penne nere in marcia: lo spettacolo fra divise nuove e vecchie dura 12 ore. Con qualche colpo di scena. Il generale: dai viali a Città Alta un colpo d'occhio che toglie il fiato. E in tribuna arriva l'alpino «contafile»

 

 

Attenti. Sinist. Saluto alle autorità, trentatré passi al minuto, in file da nove o 12. Sfilano gli alpini, per 12 ore filate. Il corteo buca il cuore di Bergamo, è un fiume con una coreografia tutta sua, ordinato ma in piena. Apre la bandiera di guerra, scortata dalle mimetiche della Julia. Seguono sezioni da tutta Italia e da tutto il mondo, i reduci, i volontari. Dura un giorno. Chiudono i bergamaschi, i più numerosi di tutti. E la città che prima applaudiva, per loro letteralmente esplode in un boato. Tifo da stadio, con le fanfare a tener botta. Rigore nelle file e nel passo, entusiasmo alle stelle. Rullano i tamburi, suonano a festa le campane. Con i bergamaschi il centro esulta come nel 2006 per i Mondiali. Anzi, di più. E la gente si sgola: «Siete voi, i nostri campioni del mondo».
Orgoglio alpino in corteo, spettacolo lungo un giorno. Le Frecce tricolori balenando nel cielo levano il fiato, la musica fa parte a pieno titolo della coreografia. Tutti al passo di «Trentatré», l'inno degli alpini che scandisce la marcia. Una coreografia di macchie di colore viste da Città Alta: sono le camice uguali degli scaglioni, le tute fluo della Protezione civile, dei volontari antincendio, di striscioni e fanfare, mimetiche e cappelli, gonfaloni e gagliardetti.

 

 

A fine giornata le penne nere sbocciolano il numero di partecipanti: 10 mila file. Lo sanno con certezza: l'alpino Massimo Mangili, da Milano, è il «contafile» ufficiale. Gli danno il cambio solo per il pranzo, lui non perde un colpo: da cinque adunate svolge il suo compito con uno scarto di 50 unità massimo. Piazzato in tribuna, a fine giornata dà il suo responso, e si conferma il successo.
Intanto il «Trentatré» martella nella testa di tutti. Ed è un bel martellare: la giornata resterà nella storia. Aiuta la ribalta architettonica, formidabile: da viale Papa Giovanni, un unico colpo d'occhio solca piazza Vittorio Veneto e il centro, salendo verso Porta San Giacomo con le mura imbandierate. Lo dirà anche il generale Marcello Bellacicco, comandante della brigata alpina Julia che per l'adunata ha portato in città 300 uomini: «Da lasciare senza fiato».
La testa del corteo si muove puntuale alle nove. Rullano i tamburi, portata degli alfieri ecco la bandiera di guerra conservata a Vipiteno: la regge il tenente più giovane del reparto, la scortano gli alpini in armi, molti rientrano dai teatri di guerra del mondo. A pochi passi i nuovi «bocia», ragazzi che hanno scelto di provare la mini naja. Sfilano in maglietta e jeans, una divisa che è qui e altrove simbolo dei tempi. Anche per loro, che (per ora) proprio militari non sono, mento alto, capo a sinistra, attenti, saluto al parterre delle autorità. Siamo in piazza Vittorio Veneto, questo gesto sarà ripetuto centinaia di migliaia di volte. Ma ogni volta sarà speciale, nel giorno dell'adunata bergamasca.
Il corteo marcia ordinato, la scansione ritorna: fanfara, ufficiali, sindaci, volontari, sezioni. E poi reduci di guerra: i momenti più commuoventi sono quelli con loro. Come quando Cristiano da Pozzo, classe 1913 e la morte scampata in Abissinia, si alza dalla sedia a rotelle, o quando arriva Fiorenzo Nolli, da Omegna, che qui sfila indossando la mantella del padre crivellata di colpi dei tedeschi. Ci sono i cappelli portati a mano di chi non c'è più, ci sono gli alpini di tutto il mondo, dalla Svizzera, dal Sudafrica, dall'Australia. Chi vien dal Belgio ricorda di Marcinelle marciando con le lanterne dei minatori, a seguire l'unico rappresentante olandese, che da solo sfila con un cartello scritto a mano, si becca una valanga di applausi. La Bulgaria vanta come presidente l'ambasciatore, i britannici si emozionano davanti alle autorità e perdono (ma solo un momento) il passo.

 

 

 

I primi italiani a sfilare sono i liguri, e fra loro una fanfara con solista tallonato dal proprio (s'immagina) cagnolino, in «pendant» con tanto di ghette. L'evoluzione della divisa della fanfara si vede fra i piemontesi, dove le musiciste (fotografatissime) sfoggiano anche tacco e gonna mini. Alpini fra passato, presente e futuro. Uno spettacolo al ritmo del «Trentatré».
 

Anna Gandolfi il 10/05/2010 - L'Eco di Bergamo