Gli immigrati: «Una festa unica, mai vista» Stampa

Boliviani, senegalesi e marocchini entusiasti. Solo i cinesi tacciono: una però si è messa il cappello alpino. Anche il madonnaro dipinge penne nere. L'unico rimasto impassibile è il Tutankhamen di via XX Settembre

 

 

Maurizio Franzolini indossa una stranissima divisa da alpino color sabbia, ultraleggera, fatta apposta per i deserti dell'Africa: «È quella della Guerra di Libia, 1936» spiega. Lui non è un alpino. È un finanziere, che fa parte però di «un gruppo di appassionati di materiale d'epoca: siamo una ventina, più i simpatizzanti». Tra di loro diversi alpini in congedo, o iscritti all'Ana. Vengono da Stregna, in provincia di Udine. Il loro «Reparto storico alpino Fiamme verdi» ha recuperato 33 divise, tra originali e copie, più copricapi e zaini. Accanto a Franzolini gira per via Garibaldi un'altra bella «figura storica» di circa sessant'anni fa in tenuta da sciatore-pattugliatore, pronto a presidiare in quota il nostro confine orientale.
All'inizio di via Moroni l'adunata degli alpini ha portato un cavallo color rame dalla criniera rosso rubino. Un esempio di «Animal art» (non chiedeteci cos'è). Ne hanno messi una ventina per la città ma sembra che qualcuno se ne sia già fregati alcuni. Questo quadrupede regale, un po' onirico ha «dormito» tra panini e biscotti del Panificio Pezzotta che gli ha cortesemente concesso asilo (l'ospitalità è di casa a Bergamo in questi giorni) per evitare che facesse anche lui una brutta fine. Non a tutti l'arte contemporanea piace. O a qualcuno, forse, piace troppo e ne approfitta per arricchire la sua collezione a costo zero.
In via San Giovanni gli alpini sfilano di fianco alla disastrata caserma Montelungo. Le ragazze al balcone sventolano il tricolore: cose mai viste. «È una festa unica. Ineguagliabile» dice infatti Isaac, boliviano. È la prima volta che vede un'adunata degli alpini: «Anzi, non ho mai visto niente del genere in vita mia. Così tanta gente in giro. È davvero incredibile. Tutti sono allegri. Sono contento di essere qua oggi, e anche fortunato».
Kamal viene dal Bangladesh e vive a Milano. È arrivato a Bergamo di prima mattina per vendere cinture. Costano solo tre euro, eppure ha combinato poco: «Gli affari non vanno bene. Però a me piace stare in Italia. E queste feste sono molto molto belle». Kristnel è un romeno che vive a Bergamo. Tre splendidi incisivi d'oro gli luccicano in bocca. «È una festa davvero molto simpatica» dice. «È la prima volta che vedo una cosa del genere». Il suo amico Vassili spiega che anche in Romania hanno «i Cacciatori di montagna, e si fanno le parate, ma non così grandi». Sulle panchine di Piazza Matteotti sta seduta assieme a quattro amiche Olga, ucraina che vive a Pedrengo: «Una festa molto allegra» dice anche lei.
Con i cinesi invece non c'è verso di parlare. Fingono tutti di non capire una parola d'italiano. Ne passa una che ha comprato il cappello con la penna e se l'è messo in testa, ma di questa improvvisa folgorazione per il Corpo degli alpini proprio non vuole parlare. Zhao, detta Elena in Italia, vive a Venezia. Ha messo giù un banchetto per vendere bracciali su cui incide il nome di chi li compra. È gentile ma anche lei, sorridendo, tace: «Scusa, io cinese, non capisco».
Kante viene del Senegal, abita a Casnigo, «in montagna» e conosce già piuttosto bene le penne nere: «Ho tanti amici alpini tra la gente con cui lavoro. È gente forte. L'adunata di oggi mi è piaciuta tanto». È venuto giù apposta dalla Val Seriana per godersi la festa. Anche tra gli alpini - fa notare - ormai c'è gente di molte nazionalità diverse: «Ho sentito che ci sono alpini sudafricani, australiani, argentini...». In Senegal non ancora, ma chissà?
Il più entusiasta di tutti però è Ahmed, marocchino, di Seriate. È venuto in autobus con tutta la famiglia e amici: 4 adulti e 4 bambini. «È stata una giornata bellissima. Era una cosa assolutamente da vedere. Conosciamo gli alpini, anche il mio vicino è uno di loro. È gente brava, che ha dato all'Italia la sua libertà. Siamo contenti di loro. Anche i giovani che fanno il servizio militare negli alpini mi piacciono». Accanto a lui c'è Raja, che porta il velo: «Mi ha colpito molto questo clima così sereno» dice. «Ci siamo divertiti, i ragazzi sono davvero entusiasti. Io è la prima volta che in Italia vedo una cosa così bella». Si sono portati appresso una merenda «al sacco», per non buttare via soldi.
In centro, in effetti, i prezzi sono piuttosto alti. Un bicchiere di vino costa un euro e mezzo, in via Guglielmo d'Alzano addirittura due. In Borgo Palazzo mezzo: «Medicina alpina, dolcetto del Piemonte spillato dalla botte». È qui forse il punto di Bergamo più simpatico e divertente attorno alla sfilata. Viale Papa Giovanni è l'arteria dell'ufficialità, e c'è una bolgia disumana: ogni tanto tra passeggini, ambulanti, strettoie non si riesce a passare né avanti né indietro, ci si sente soffocare. Borgo Palazzo è una retrovia ancora un po' paesana, popolare, tranquilla anche se affollata come non mai: la gente si incontra, scatta foto, consulta le cartine, va a mangiare insieme in una pizzeria, in un piccolo ristorante. «I sapori di casa» dalle 7 del mattino alle 2 di notte proponeva un «Menu degli alpini» completo a 8 euro.
Torniamo verso il centro, a fatica, soprattutto passare da un lato all'altro del serpentone della sfilata non è facile. Ci sono dei varchi ma il primo problema è trovarli, e poi molti non si aprono perché il corteo all'inizio è troppo fitto. Un chiosco di padovani vende kebab: c'è la fila, e la colonna di carne è quasi terminata. Ha il coraggio di lamentarsi un po': «Abbiamo lavorato bene, tranquilli. Oggi però è andata peggio di ieri».
Un madonnaro oggi ha deciso di non dipingere Gesù e Maria Santissima sul selciato, ma anche lui gli alpini. Oltre le transenne sfila il gruppo di Biella. «Tucc un» è il loro motto: tutti insieme siamo una cosa sola. C'è chi marcia trascinandosi una gamba malconcia, ma con lo zaino pieno in spalla. La gente applaude gli alpini, e gli alpini applaudono la gente: sorridono, gridano «auguri, mamme» alle signore in prima fila. «Essere alpino è un modo di essere; è un modo di fare; è un modo di dare» dice lo speaker. «Non vorremmo applausi. Vorremmo che molti capissero queste cose e si unissero agli alpini per dare una mano».
Sfilano quelli di Napoli: pochi, occhiali da sole sul naso, passo ciondolante; sono vestiti uno diverso dall'altro e sollevano tra la folla un boato: «Bravi! Bravi!» grida la gente. Sfilano i cani dell'Unità cinofila, pastori tedeschi, maremmani, labrador, terranova:«Onoriamo i caduti aiutando i vivi». Sfilano parole come «sincerità», «gratuità»: lo speaker parla di «56 milioni di ore di lavoro» regalate. Mettendo sempre «l'uomo, la sua essenza al centro del mondo». Non sono sentimenti condivisi da tutti. Un ragazzo su uno dei tricolori che avvolge le colonne del Quadriportico di Porta nuova ha scritto: «Verde come l'erba che la legge vieta. Bianco come la coca dentro i nostri nasi. Rosso come il sangue di Carlo Giuliani».
In via Paleocapa sono comparsi due angeli custodi bianchi dall'aria buonissima, sempre con il sorriso sulle labbra, le loro ali di piume fremono al primo refolo di vento che annuncia la pioggia della sera. Seguaci di una strana religione distribuiscono volantini che invitano alla conversione: «Noi non siamo qui per la festa» ci tengono a dire. A loro non piace.
L'unico rimasto assolutamente impassibile di fronte a questa 83ª adunata degli alpini, però, è il Tutankhamen dorato che sta piantato immobile in via XX Settembre, fuori da Sisley. È solo leggermente più sudato del solito: dev'essere stata dura raggiungere la completa atarassia in una giornata così.
 

Carlo Dignola il 10/05/2010 - L'Eco di Bergamo