«Mio padre, l'autista di Cadorna» Stampa

Carlo Cuni rimase al servizio del generale anche a guerra finita

 

 

L'Adunata delle penne nere non risveglia solo lo spirito alpino, ma anche i ricordi. Tanti quelli dei bergamaschi che hanno vissuto storie di guerra e passione attraverso i racconti dei loro famigliari. Francesco Cuni è uno di questi: figlio di Carlo, un alpino bergamasco classe 1894, ci racconta con immagini e vecchie fotografie le vicissitudini del padre. «Mio padre si arruolò nell'aprile del 1915 e prestò servizio nel battaglione Tolmezzo, Udine», racconta Cuni. «Dopo due anni passati al fronte e sulle Alpi Carniche, subì un congelamento alle mani e ai piedi e venne trasferito a Padova, al comando del generale Luigi Cadorna dove lavorò per due anni come suo autista personale». La Guerra terminò nel novembre 1918, ma Carlo Cuni rientrò a Bergamo solo nella primavera del 1919. «Era rimasto a servire Cadorna – continua il figlio –. Di lui racconta che lo accompagnava a Messa ogni mattina alle 5,30». Rientrato a casa, lo spirito alpino di Carlo Cuni non viene meno, soprattutto quando si tratta di partecipare alle Adunate. «Mio padre partecipò a uno dei primi Raduni nazionali degli alpini, nel 1929 a Roma. La prima storica Adunata delle penne nere fu organizzata nel 1920, a Monte Ortigara (Vicenza). A quella del '29 ci furono anche molti bergamaschi – continua Cuni – e i racconti che mi sono giunti parlano di un evento davvero emozionante per tutti i combattenti coinvolti. Dopo l'appuntamento di Roma, mio padre continuò a partecipare alle Adunate nazionali, per rivivere quell'emozione». Una famiglia che ha vissuto la Storia, con la s maiuscola, non solo per le avventure del padre. «Anche mio suocero, Carlo Benetti, era una alpino – continua Cuni –. Originario di Borgo Valsugana, in provincia di Trento, si è arruolato nel 1915 ed è poi stato fatto prigioniero insieme a Cesare Battisti e Fabio Filzi al Castello del Buonconsiglio di Trento. Loro vennero condannati per tradimento e impiccati, mio suocero si salvò e fu trasferito in Austria, internato in un campo di concentramento, ma riuscì ad uscirne vivo».


10/05/2010 - L'Eco di Bergamo