Avete riacceso memoria e desiderio Stampa

Il nostro mondo non è più quello degli alpini. Che cosa ci dicono nomi epici come Nikolajewka, Ortigara, San Matteo, Col di Lana e Adamello? Che cosa ricordiamo delle divisioni Julia e Tridentina?

Quasi niente. Gran parte di noi li ha letti distrattamente sui testi di storia e in alcuni romanzi autobiografici – come il bellissimo «Il sergente nella neve» di Mario Rigoni Stern – che raccontano di un eroismo antico, di battaglie e di ritirate, di giovani uomini mandati al massacro senza equipaggiamenti adeguati e senza sapere bene il perché. Di quella storia, della nostra storia, diciamolo francamente, è rimasto poco: qualche monumento, stanche celebrazioni a giugno e a novembre e un repertorio di canzoni, per lo più malinconiche, da intonare ad alta quota. La memoria, nella corsa frenetica degli anni, s'è oscurata in fretta.
Eppure Bergamo nei giorni scorsi si è riempita di attesa. La città più seriosa e laboriosa d'Italia ha aperto le finestre per appendervi le bandiere tricolore, ha innalzato striscioni di benvenuto, ha allestito le vetrine come presepi, ha organizzato un'accoglienza in grande stile alle centinaia di migliaia di penne nere in arrivo per la loro adunata annuale. Mai si erano viste Bergamo e la provincia così festose e colorate. Perché tanto calore? Cosa ha risvegliato in noi questo evento che torna dopo 24 anni?
Anzitutto un'antica familiarità. Bergamo e gli alpini sono come una casa e i suoi abitanti: l'una fatta su misura degli altri. Saranno le mura che cingono Città Alta come una fortezza; saranno le montagne che fanno da cornice; sarà il fatto che il secolo scorso la Montelungo ha ospitato un reparto alpini e che dopo la guerra s'è insediato a Bergamo il comando del «Quinto». Sarà anche la presenza di migliaia di bergamaschi arruolati tra le penne nere per il servizio militare (quando c'era).
Sta di fatto che nella Bergamasca c'è stata una straordinaria mobilitazione per offrire ospitalità a questi ex commilitoni, che si raccolgono da varie parti d'Italia e dall'estero per ritrovarsi alcuni giorni l'anno in un clima di fraternità. C'è una sorta di affinità elettiva fra lo spirito bergamasco e quello degli alpini: la disposizione a rimboccarsi le maniche più che a parlare; la modestia e il legame con la tradizione; il senso di appartenenza e una diffusa solidarietà. Tratti caratteriali che fanno pensare agli alpini e ai bergamaschi come a un'unica «razza», modellata dalla stessa mano, direttamente dalla pietra delle montagne.
L'adunata ha risvegliato anche una nostalgia. La nostalgia di una vita autentica e semplice, fatta di amicizie durature e di rispetto per l'anzianità e per l'autorità, di senso del dovere e di riconoscenza, di ricordi e di silenzio, di disponibilità alla fatica e di sana baldoria. Valori positivi che, fateci caso, oggi vengono considerati come moneta fuori corso. Ci si arrovella per capire come mai c'è tanta maleducazione e poi si scopre che c'è qualcuno che con naturalezza sa essere serio e gioioso nello stesso tempo. Sì, perché gli alpini portano allegria e la loro allegria è contagiosa. Li abbiamo visti nei giorni scorsi occupare il centro della città con la loro simpatica e chiassosa bonomia. Tutti per strada, mani in tasca, cappello in testa e la battuta pronta alle signore. Un'umanità schietta e genuina che, tuttavia, quando passa la bandiera di guerra, scatta sull'attenti e saluta con una compostezza esemplare.
L'arrivo degli alpini ha infine ridestato qualcosa di più profondo: il desiderio di unità e dell'ideale condiviso di una Patria comune. Qui il discorso si farebbe complicato, soprattutto adesso. Ma tagliamo corto limitandoci a constatare che non c'è niente di più affascinante che vedere un popolo unito. È il sogno di tutte le religioni, le politiche, le ideologie. L'adunata è la testimonianza che questo è possibile.
Il nostro mondo non è più quello degli alpini, ma forse ci piacerebbe che lo fosse un po' di più.
E allora largo a voi, care penne nere: questo a Bergamo è il vostro giorno. «Di qui si passa», per parafrasare un motto a voi ben noto. Prendetevi pure le strade e le piazze, gli spazi verdi e i cortili. La nostra terra vi ha accolto con letizia e vi guarda con tutta l'amicizia e la cordialità di cui è capace. L'occasione è davvero speciale: per questo ci siamo permessi di mettere il cappello con la penna a ridosso della testata del giornale. Non ce ne vogliano i veri alpini, lo sappiamo che soltanto loro possono legittimamente indossarlo con orgoglio. Ma Bergamo, a pieno titolo, merita di mettersi in testa quel prezioso simbolo e di fregiarsi del nome di «Città dei Mille e degli Alpini». Benvenuto, quindi, ognuno di voi: a uomini che, in guerra e in pace, hanno dimostrato coi fatti di voler bene al nostro Paese e di onorarlo nel mondo, non faremo mancare il nostro convinto applauso.
 

 

Ettore Ongis il 09/05/2010 - L'Eco di Bergamo