Dalla stazione a Città Alta, una folla mai vista Stampa

Bergamo trasformata in un grande palcoscenico: alpini ovunque, ormai sono almeno 400 mila. Oggi la sfilata. Un clima contagioso per le strade ha coinvolto anche chi non è penna nera. E qualcuno si rivede dopo anni

L'invasione è a quota quattrocentomila. Gli alpini a Bergamo non si contano più. Sono qui con mogli, fidanzate, figli e nipoti al seguito. E lo schivo bergamasco di città si è alla fine sgelato, contagiato, ha comprato ai bambini il cappello con la penna nera, si mescola agli alpini arrivati da tutta Italia e da una bella manciata di Stati esteri, Australia e Sudafrica compresi. In città una folla incredibile. Che si diverte, eccome. Perché l'alpino non solo è un soldato che non tiene a distanza, ma che «si capisce che cosa fa» come dice Flavio, dieci anni, per mano a nonno Roberto: «L'alpino sa tutto della montagna, è capace di fare tutto, è coraggioso e insegna ai bambini a cantare».

 


L'epicentro della festa è a Porta Nuova, intorno alle colonne rivestite dal tricolore. Poi la fiumana sale lentamente verso la funicolare, dilaga su viale Vittorio Emanuele fra le tende piantate sulle aiuole, risale Porta Sant'Agostino. Nessuno si lamenta, è una tranquilla transumanza di militari e civili insieme.
C'è tanto da vedere, perché l'intero centro città è un palcoscenico all'aperto, il tempo si è arreso al buonumore alpino e ha trattenuto le cateratte del cielo. L'alpino virtuoso di fisarmonica improvvisa di fronte al flautista andino, tre tamburini e un bombardino suonano jazz. In alto sventolano le bandiere calate dalle mura dalla Fondazione Marzio Tremaglia, un colpo di genio scenografico. C'è posto anche per la retorica, oggi. L'alpino simboleggia l'Italia che ha rispetto di se stessa, che osa credere in un eroismo feriale, in una preparazione militare al servizio del debole. Un mito, forse, ma del quale la gente ha bisogno per riconoscersi nazione e non solo giocattolo elettorale tirato fuori quando fa comodo.

 


In Città Alta, Piazza Vecchia è lo sbocco naturale del fiume. Un gruppo di penne nere si fa spiegare il funzionamento della meridiana, mentre in un angolo della loggia del Palazzo della Ragione un coro canta le versioni alpine delle storie eterne del marito becco e della ragazza incauta. In tanti salgono alla Torre del campanone per guardare la città dall'alto. Un alpino porta al posto dello zaino la figlia addormentata. Un'elegante signora settantenne, ancora bella, evidentemente veterana di molte adunate, pazientemente raddrizza il cappello al marito che fruga concitato nella giacca alla ricerca del cellulare: «Cerca con calma, ieri sera l'avevi...». Un alpino ciclista, il casco tricolore ornato di penna d'ordinanza, filma tutto quel che accade, un reality coi fiocchi. Penne nere dappertutto, da basilica di Santa Maria Maggiore al duomo. Bar e ristoranti sono stracolmi. «Scusi, dov'è la funicolare?», sempre dritto, se ci riesce. Sugli spalti è un fiorire di igloo e camper posteggiati in ogni slargo. Dalla Fara si alzano le note dei canti della Prima guerra mondiale. È straordinaria la massa di folla, ma anche la compostezza di tutti. La città è pulita, gli intemperanti vengono subito discretamente circondati da altri alpini e portati velocemente fuori scena. La gente si sposta per lasciar passare le fanfare: Bormio, Cadore. La città è piena di musica. Una musica che i bergamaschi sentono propria, che risuona nelle suole delle scarpe, anche delle «allstars» degli adolescenti. Perché sono melodie che in qualche modo appartengono alla storia di tutti, che ritagliano un ricordo per tutti. E gli alpini hanno pensato anche a chi non può muoversi: i cori risuonano oggi anche nelle case di riposo della città.
L'alpino Giulio e l'alpino Pino si incrociano per caso sul viale, uno sguardo, si riconoscono e si abbracciano:«Te set prope té!». Le transenne impediscono di buttarsi subito in un bar a festeggiare la gioventù che non torna più, come ricorda la canzone della «Piemontesina» che la fanfara sta intonando a Porta Nuova.
In giro per la città si riempiono di gente anche tutte le mostre storiche organizzate dall'Ana: in Rocca gli alpini del dopoguerra, i disegni di un alpino in Russia a Porta Sant'Agostino, la ritirata di Russia all'Urban Center. Aperto anche il chiostro delle Grazie, con una mostra dedicata a Teresio Olivelli. Verso la stazione la folla è un muro cedevole, molti si fermano alle transenne per seguire la diretta di Bergamo Tv.
Passano gli automezzi improbabili che contrassegnano sempre le adunate: un calesse con botticella incorporata, una cinquecento tricolore con gli alpini aggrappati ai predellini, gokart travestiti da cappelli alpini. Giù per le Mura marcia un alpino con una botticella al posto dello zaino.
Ma, al di là del folklore che si intuisce standard, normale arredo urbano delle adunate (ciascuno ha un posto nella grande rappresentazione annuale) quello che colpisce è il reale piacere di stare insieme, di esserci. E colpisce questa città che sta al gioco. Forse perché gli alpini, di qualunque parte d'Italia, parlano una lingua che Bergamo capisce.
 

Susanna Pesenti il 09/05/2010 - L'Eco di Bergamo

 

 
 

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Oggetti Smarriti

Sono stati ritrovati parecchi oggetti smarriti durante l'adunata.

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