Il cielo tricolore con i parà. Stadio pieno, nasi all'insù Stampa

Lanci dagli elicotteri: in dieci volteggiano da un'altezza di 1.100 metri. Tra loro un bergamasco. Folla ad attenderli sugli spalti dell'«Atleti azzurri»

 

L'adunata è un cielo lattiginoso che non regala ancora il sole, ma almeno si tinge di tricolore. L'adunata sono dieci puntini variopinti che si avvitano, volteggiano, scendono come tanti icaro al contrario e più si avvicinano più prendono forme umane. L'adunata è questo stadio Atleti azzurri d'Italia che li attende col naso all'insù e trepida e rimbomba di «ohhhhh» a ogni loro evoluzione. L'adunata è un parà nostrano – Gianpietro Gervasoni da Ponteranica – che da buon alpino (soli 20 giorni a Merano, prima di entrare nella Folgore, ma possono bastare) vuol firmare il raduno a modo suo, mettendoci una penna nera anche lassù a 1.100 metri. È lui il protagonista del secondo lancio organizzato, ieri, per la grande festa degli alpini e, mentre il compagno svizzero sbanda andando a finire quasi in curva Nord, lui atterra per primo saltellando leggero al centro del campo. «Fantastico – dice mentre ripiega la grande vela colorata davanti agli occhi orgogliosi della moglie Mirta e dei due figlioletti Valentina e Michele – questo sì che è un lancio, praticamente sul tetto di casa, davanti a migliaia e migliaia di persone che ti applaudono». Perché è sempre così: lo spettacolo dei parà – organizzato dall'associazione nazionale che li riunisce – piace a tutti. Arrivano in tanti già prima di mezzogiorno. E non solo penne nere: famiglie, gruppetti di ragazzi, mamme con i passeggini; non si scoraggiano nemmeno quando lo speaker annuncia dieci lanci al posto di venti; guardano tutti all'insù e non solo per scongiurare la pioggia ancora in agguato: le frecce tricolori hanno già dato in mattinata un piccolo anticipo dell'esibizione prevista oggi e rivolgere lo sguardo al cielo viene quasi istintivo. Così eccoli i parà. Si lanciano dagli elicotteri. Cinque al primo lancio (Giuseppe Trevisan, Giuseppe Bonatti, Edoardo Piva, Enrico Mooney e Alberto Dal Zovo) e cinque al secondo (Gianpietro Gervasoni, Toni Torriani, Arnaldo Tavola, Bruno Leonardo e Vincenzo Cereda). C'è chi arriva preciso preciso a centro campo, chi si getta in avanti e scompare avvolto dal suo stesso paracadute e chi, grazie alle vele di precisione, scende gli ultimi metri perfettamente in verticale, manco fosse su un ascensore. Lia, Giosuè e Susanna, i tre bimbi di Ernico Masoni, sgranano gli occhi davanti a questi angeli colorati che piovono dal cielo: «Ma gli alpini non andavano in montagna?», chiede uno dei tre un po' stupito. Ha ragione di esserlo. Perché in tanti non conoscono questo sodalizio tra gli uomini dell'aria e quelli delle cime, cominciato già nel 1918 con due precursori: Alessandro Tendura e Pier Arrigo Barnaba. Da allora, e più precisamente a partire dal 1952, i plotoni di paracadutisti nelle truppe alpine non sono mai mancati, con centinaia di penne nere specializzate nei lanci aerei. Due di queste sono qui in tribuna e vorrebbero stringere la mano al loro capitano sul campo. Carlo Valenti, ticket manager dell'Atalanta, che sbraita da un'ora come un ossesso impedendo pure a fotografi e giornalisti di avvicinarsi ai protagonisti della giornata, ringhia di no «che non si può neanche adesso che è tutto finito», (salvo poi scodinzolare davanti a sindaco, assessori e consiglieri vari che invece varcano la soglia tranquillamente). Peccato: lo spirito dell'adunata non è questo. E forse l'unico a non averlo capito qua dentro è lui.
 

Emanuele Falchetti il 09/05/2010 - L'Eco di Bergamo

 

 
 

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