Il ricordo del fratello Emilio - Attilio Zanetti, eroe in Montenegro Stampa

L'ufficiale restò a combattere per la Patria: fucilato nel 1943

 

 

Una cassetta metallica sulle ginocchia. Dentro i pochi resti di un soldato. Sopra un cappotto, quasi un gesto istintivo nel gelo di quel lontano gennaio del 1955. Un gesto di pietà e affetto assieme, oltre che il tentativo di celare quell'urna tanto spartana dalla vista dei frontalieri. I resti erano dell'alpino Attilio Zanetti, classe 1920, fucilato assieme ad altri quattro ufficiali dai tedeschi 11 anni prima, il 7 ottobre del 1943, a Trubjela di Niksic, Montenegro. Il gesto di pietà e affetto era invece del fratello Emilio, attuale presidente del consiglio di gestione di Ubi Banca. Toccò a lui, dopo le lunghe e travagliate ricerche, affrontare il difficile e doloroso pellegrinaggio, là dove il corpo del sottotenente del 4° reggimento alpini era stato tumulato. Una sepoltura sbrigativa – poche pietre appoggiate sopra due spanne di terra –, dopo un'esecuzione altrettanto rapida: il rumore sinistro di una raffica e cinque corpi rimasti privi di vita al suolo.
«Per molto tempo – ricorda Emilio Zanetti – a casa non si seppe nulla, solo notizie frammentarie, raccolte dalle testimonianze dei soldati che rientravano dai campi di prigionia, finché un giorno non arrivò la medaglia di bronzo e quella dicitura che non lasciava più dubbi: catturato, veniva passato per le armi». La morte del sottotenente – che sul fronte montenegrino era arrivato assieme alla Taurinense nel '42 dopo esser stato richiamato alle armi nel 1940 – aveva trovato una conferma certa. Non restava che la mesta consolazione di rintracciarne le spoglie. Cominciò così una ricerca complicata, in un dopoguerra che da quelle parti non era facile nemmeno sul versante politico. Grazie a un'interprete sul posto, si riuscì a localizzare il punto esatto in cui Attilio Zanetti era stato sepolto assieme agli altri ufficiali. «Partii con due miei cognati il 1° gennaio del 1955 – aggiunge il fratello – e una volta arrivato a Trubjela tra mille peripezie mi ritrovai di fronte a quelle poche pietre e ai resti di Attilio: i gradi, le scarpe e la sua penna. Un momento davvero struggente, reso ancora più indelebile dal fatto che di lì a pochi mesi nostro padre sarebbe morto». «L'eroismo vero non è né un atto di spavalda temerarietà, né un atto di odio: l'eroismo vero è il figlio sofferto di un grande amore», dirà qualche giorno più tardi, il 13 gennaio, monsignor Marco Farina, durante l'elogio funebre a Bergamo. Aveva ragione: perché altrimenti non ti spiegheresti, se non con un gesto di grande amore verso la Patria, come un ragazzo di 23 anni, su un fronte lontano e in un clima di totale smarrimento, avesse potuto, dopo l'armistizio dell'8 settembre, decidere di unirsi ai partigiani (l'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia) e continuare a combattere i tedeschi, anziché pensare solo a mettersi in salvo e portare a casa la pelle. «Sì, erano ideali forti, non si erano imboscati», ribadisce Emilio Zanetti. Non è un caso dunque che lo stesso presidente di Ubi Banca abbia voluto dedicare, nei giorni scorsi, il restauro della Torre dei caduti, portato a termine proprio in concomitanza con l'adunata degli alpini, al fratello Attilio. Un gesto dovuto. Anche questo di pietà e di grande affetto.
 

Emanuele Falchetti il 08/05/2010 - L'Eco di Bergamo

 

 
 

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Oggetti Smarriti

Sono stati ritrovati parecchi oggetti smarriti durante l'adunata.

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