E' l’Italia che torna! Stampa

Cos’è l’Adunata?
E' l’Italia che torna!
 

È rimasta soltanto la eco delle fanfare, con il passo di marcia sulle note del “Trentatrè-Valore alpin”. Sono scomparsi i tricolori con i quali la città era stata addobbata. Via anche gli striscioni con le scritte di benvenuto al grande popolo delle Penne Nere, che per quasi una settimana, ma per tre giorni pieni, ha preso possesso (alla lettera) fisicamente della città di Bergamo. Smontato l’Ospedale da campo, orgoglio dell’Ana, e riportato nella sua sede della vicina Orio al Serio, ora si tirano le somme di quel che è stata, di quel che ha rappresentato per il sodalizio delle Penne Nere, per la sezione Ana locale e per la città orobica, ben s’intende, questa meravigliosa kermesse, che non ha avuto precedenti nella storia delle adunate scarpone.
 
 
 
Oltre mezzo milione fra alpini, familiari, amici, da venerdì 7 a domenica 9, secondo il calcolo della Questura, sono stati a Bergamo; novantamila Penne Nere (secondo il calcolo dell’addetto alla conta che usa il “contafile” dell’Ana) in sfilata per oltre dodici ore, lungo il percorso di due chilometri costituiscono un bilancio che parla da solo, e in maniera eloquente.
Ma al di là di questi numeri molto significativi, di questa constatazione di successo eccezionale, che cosa resta dell’adunata scarpona? Resta quel che è comune a tutte le adunate. Per dirla con un vecchio speaker dell’Ana, l’ex IMI (dopo la campagna di Russia con la Cuneense), l’avvocato Odoardo Ascari di Modena… “È l’Italia che torna”.
Sì: i tricolori che non si sprecano, quei cappelli con la penna nera, quelle fanfare, rappresentano il meglio di una Italia che in guerra e in pace ha dimostrato valore, abnegazione, serietà, dignità. E se noi, che alpini non siamo, vogliamo qualche volta avere contezza di quel che sia la Patria, ecco, stando con le Penne Nere, assistendo alle loro sfilate, ce ne rendiamo conto.
È qualcosa di impalpabile, ma di sensibile. Perché vedendo quei tricolori che loro recano, sentendo le note dei loro inni e canti, e ancora vedendo quei “veci”, reduci, e/o mutilati, che con orgoglio sfilano su carrozzelle sospinte dai “bocia”, o su mezzi motorizzati della vecchia naja, beh… non si può restare indifferenti.
Sono quelle ragioni del cuore che soltanto il cuore sente e non tien conto far caso a quel magone che ci prende o se l’occhio diventa lucido. Sì: è commozione!
Che cosa hanno di speciale, di più, degli altri – e lo pensiamo, e lo scriviamo da non alpini – questi uomini che sanno fare unità, che sanno agire per gli altri? Che hanno fornito esempi di grande valore, di tenacia, di solidarietà, sempre, nella loro storia tutto sommato recente (1872)? Sino al punto da fare “tradizione”?
Ecco. È la Patria che torna! È l’Italia che torna! Nelle e con le sue migliori espressioni. Un’Italia pulita nella cui legge non scritta vengono prima il dovere del diritto, il dare prima del chiedere, la solidarietà/volontariato prima dell’egoismo individuale.
Un’Italia unita, che può essere stato centralizzato o stato federale, ma sempre Italia è. Non a caso, a 150 anni dall’Unità nazionale, vien da osservare che chi, nell’Ottocento voleva libertà e indipendenza (Gioberti, Rosmini, Mazzini, Cattaneo, Cavour, Manzoni) a una Patria unita aspirava. Peraltro, Stati Uniti d’America e Confederazione Elvetica, pur essendo stati non centralisti e non centralizzati, appunto, non mancano di unità e i loro cittadini si sentono profondamente americani e svizzeri. Basti vedere – come noi abbiamo visto – le rispettive bandiere nazionali esposte in tutti i pubblici uffici, dovunque. Negli Usa, dal Texas allo stato di New York, dalla Pennsylvania all’Oregon, e nella Svizzera, da Zurigo a Lugano, da Ginevra a Lucerna. Gli stati federali, i cantoni, con le loro autonomie, certo, ma uniti nella stessa realtà di nazione. Ecco perché, anche da noi, ha senso parlare di autonomie, di federalismo, certamente, ma senza rompere l’unità di una nazione che è Patria comune, come gli Alpini testimoniano: senza retorica, senza ostentazioni. Ma con il sentire e con l’agire.
Maniche rimboccate e avanti, ad aiutare, a lavorare: nell’Irpinia ieri l’altro, in Valtellina e in Valbrembana, poi, quindi in Abruzzo un anno fa, tanto per portare tre esempi. E anche oltre i confini nazionali. Perché la solidarietà vera non conosce confini. Ana, Penne Nere, una delle migliori, una delle  più belle espressioni dell’Italia, che ci riconcilia con una realtà spesso, troppo spesso fatta di egoismi, ruberie, viltà, disonestà, arrivismi.
Con questa Italia, con questa Patria, possiamo certamente starci, intenderci, capirci.


Giovanni Lugaresi

Lo Scarpone Orobico - ANNO 69 - N. 2 Agosto 2010

 
 

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