Robot? Meglio Zibibbo, mulo del Don Stampa

L'esercito americano ha investito la bellezza di 32 milioni di dollari per dei quadrupedi meccanici

I nostri, quelli veri, erano straordinari: uno, in Russia, morto il conducente sfondò da solo la sacca

C'è da scommettere che qualche anziano alpino ha avuto un tuffo al cuore quando qualche giorno fa sui giornali ha letto che negli Stati Uniti hanno costruito un mulo-robot.

E non è roba da fantascienza perché l'esercito americano ne ha già commissionati un po' mettendo sul tavolo la bella somma di 32 milioni di dollari, consegna entro 30 mesi. Di che cosa si tratta? A dare un'occhiata al disegno sembra più uno dei robot del secondo episodio di «Guerre stellari», ma sentite un po'. Ha quattro zampe e se la cava su qualsiasi tipo di terreno, anche scosceso, dentro un bosco, con la neve. È in grado di distinguere, di seguire, e per di più di riconoscere il soldato che l'accompagna. E quel che conta, porta carichi fino a 180 chili. Ha un solo inconveniente, e non è da poco, va a benzina e ogni tanto bisogna fare il pieno. Qui ti volevo, dice il vecchio artigliere. Il mulo, il mulo animale per intenderci, mica lo puoi avviare girando una chiavetta o lo fermi con il telecomando. Il mulo viene con te, ti accompagna, ti porta i carichi delle corvé o i pezzi del 105/24 smontato, ti puoi aggrappare alla sua coda (attenzione ai calci!) se sei stanco ma lui marcia ancora. Mangia la biada, ma nella tragica ritirata di Russia tirava avanti con pochi bocconi di paglia portati via dai tetti delle isbe e i cardi secchi che affioravano dalla neve. E grazie alla questa sua parsimonia e alla sua incredibile resistenza ha consentito a non poche penne nere di tornare in baita. Sì a volte fa di testa sua, aggiunge l'artigliere, ma il mulo ha un'anima. Un'«anima alpina» per intenderci, quanto basta per essere un compagno prezioso, che capisce quando bisogna tener duro. Mario Rigoni Stern dei muli in Albania e in Russia ricordava «i grandi occhi pazienti e buoni». E di questi «oci» l'artigliere ma soprattutto lo «sconcio», che qui sta per il conducente dei muli, ha uno struggente ricordo dimenticando - è l'effetto dei tanti anni passati - le improvvise sgroppate, i calci sibilanti, le ostinate impuntature. Ho racconto in altra occasione la storia del mulo Zibibbo detto, a buona ragione, il Valoroso. Faceva parte del gruppo Bergamo, 2° reggimento artiglieria alpina della divisione Tridentina. Spedito in Russia con destinazione le montagne del Caucaso, e quindi con tutto l'equipaggiamento da montagna, il reparto si trovò invece a percorrere le infinite distese della steppa in direzione del Don. Polvere d'estate, fango con le piogge autunnali, quindi il terribile inverno nordico. Fu sul finire di un giorno dal freddo intensissimo che il suo conducente, con il quale procedeva ai margini di una pista carico dell'affusto di un cannone 75/13, perse l'orientamento, si smarrì; il giorno dopo fu trovato morto, ucciso dal gelo. Di Zibibbo, il mulo, nessuna traccia. Venne dato per perso. Passarono alcuni giorni. Una notte, nel buio fitto dell'immensa pianura rischiarato dalle stelle, la sentinella di un caposaldo scorse un'ombra. Stava per dare l'altolà e poi sparare, quando gli si parò davanti il mulo scomparso. Era in condizioni pietose. Aveva vagato a lungo alla ricerca dell'accampamento, mangiando qualche filo d'erba secca e qualche cardo; l'istinto l'aveva portato alla fine verso le linee italiane. Era ancora carico del suo pezzo di cannone: il peso del basto gli aveva riempito di piaghe il dorso. Fu curato e, scampato a Nikolalajewka, rientrò in Italia. Nel dopoguerra il malconcio esercito italiano non aveva più bisogno di tanti muli (ce n'erano ben 3.500 per ogni divisione alpina), e Zibibbo fu venduto a un contadino dell'Alto Adige. Nel 1949, quando il gruppo Bergamo fu ricostituito, gli ufficiali superstiti si ricordarono del loro «Valoroso». Allora di ogni mulo considerato «abile» esisteva una scheda che lo accompagnava per tutta la vita. Non fu difficile rintracciare il proprietario e ricomperare il quadrupede. Troppo anziano per essere di nuovo... arruolato, Zibibbo fu riportato alla caserma e tenuto furtivamente «in riserva». Campò ancora a lungo, strigliato doverosamente e condotto regolarmente ogni giorno all'abbeverata con tutti gli altri muli: un rito a lui familiare e al quale non si sarebbe mai sottratto. Da oltre vent'anni le truppe alpine non hanno più i muli in dotazione. All'inizio della guerra in Afganistan corse voce che su quelle montagne sarebbero stati necessari i vecchi compagni degli alpini. I giornali ci imbastirono un bel po' di articoli, ma tutto finì con titoli del tipo «cercansi muli». A dir il vero, i muli sono quasi del tutto scomparsi dalle montagne del nostro Paese. In una indagine compiuta qualche anno fa tra i veterinari dell'Alto Adige, la maggior parte degli intervistati non ricordava di aver visitato o curato, in tempi recenti, un mulo. Si stavano impratichendo sugli esotici lama. Quelli sì che sono di moda.

Pino Capellini il 04/03/2010 - L'Eco di Bergamo

 
 

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