Volti, sensazioni e simboli della città visti con gli occhi di chi sfilava. Fotografie allo spettacolo della folla e baci per la Festa della mamma
La definiscono così dal 1920 (anno della prima adunata sull'Ortigara) e per tutti resterà sempre la sfilata degli alpini davanti alla città che ospita l'adunata. Ma se la si vive dal di dentro, la prospettiva cambia d'incanto. È la città che sfila attorno agli alpini con i suoi volti, le sue emozioni, i suoi simboli.
Chiamatela forzatura. Ma non sono forse forzature molte presunte verità del nostro tempo, condizionate come sono dal punto di vista da cui ciascuno di noi le osserva? Chiamatelo paradosso. Ma c'è qualcosa di più efficace di un paradosso, generato da una visione «alpinocentrica», per sintetizzare una manifestazione che è essa stessa, di per sé, uno splendido paradosso per come riesce a suscitare gli entusiasmi più genuini di un'intera città pur tenendola in ostaggio per tre giorni?
Ecco perché, vista da dentro il corteo, è Bergamo che sfila attorno agli alpini e non viceversa. E non è un caso che siano in molti, dalla strada, ad applaudire la folla, a salutare parenti e amici oltre le transenne, a fotografare e filmare i volti, le emozioni e i simboli che si vedono sfilare intorno. Quelli di una città che i luoghi comuni raccontano chiusa, musona e fin troppo pragmatica, ma che quando arrivano le penne nere si scopre capace di amare al punto da riuscire a stringere, con il suo abbraccio, una realtà cinque volte più numerosa dei suoi abitanti. Un abbraccio forte, vivo, lungo i 4 chilometri del tracciato che va dall'ammassamento di piazza Sant'Anna allo scioglimento di piazzale Oberdan.
La Bergamo che comincia a sfilare davanti agli occhi degli alpini, a piazza Sant'Anna, è una folla che abbonda di slogan («Viva gli alpini», «Bravi», «Siete l'orgoglio d'Italia») che non saranno il massimo dell'originalità, ma dicono tutto. La Bergamo che finisce di sfilare in piazzale Oberdan è una signora che commenta sorridente: «Non mi fanno chiudere occhio da tre notti, ma che bello vedere tanta gente allegra». La Bergamo che sfila fra questi due punti, di partenza e arrivo, è nelle migliaia di Tricolori esposti ai suoi balconi, che dopo la curva tra via Mai e viale Papa Giovanni si condensano nell'immagine mozzafiato di due ali di folla che accompagnano lo sguardo verso le Mura vestite di verde, bianco e rosso. I Tricolori più grandi per addobbare il balcone più bello.
La Bergamo che sfila lungo quei 4 chilometri è un applauso ininterrotto, eppure mai uguale a se stesso: se lo sai ascoltare, vi cogli una varietà di toni, sempre adeguati, che vanno dalla tangibile commozione per il passaggio dei reduci delle steppe bianche di Russia all'allegra complicità con chi è reduce dalle notti bianche dell'adunata. Passando attraverso l'orgoglio per i militari in armi impegnati nelle missioni di pace, e la gratitudine per i volontari della Protezione civile.
La Bergamo che sfila in questa giornata è quella che cede di buon grado il cuore del Sentierone – salotto buono del suo struscio domenicale – allo struscio festoso di mezzo milione di amici con la penna nera. Che lancia fiori al passaggio del corteo. Che si dà il cambio di continuo lungo le strade per tredici ore. Perché gli alpini non vengano mai lasciati soli, come loro non lasciano mai solo nessuno, quando ce n'è bisogno. La folla accalcata alle transenne non smette mai di essere numerosa, né calorosa. Anche quando scocca l'ora del pranzo domenicale. Anche quando, nel pomeriggio, la pioggia da fastidioso intermezzo diventa una costante compagnia.
La Bergamo che sfila è qualcosa che anche i reduci vogliono gustarsi fino in fondo, al punto da non volere il telone anti-pioggia montato su jeep e camionette d'epoca che li trasportano lungo il percorso: alla fine i teloni vengono messi, ma per fortuna quella del mattino è una pioggia che dura poco, e cessa quando la testa del corteo ha percorso il primo tratto di via Mai. È anche l'applauso alle migliaia di «cugini» bresciani, mettendo da parte ogni rivalità di campanile. Quisquilie per gli alpini, capaci di far sfilare sotto la stessa insegna persino le sezioni riunite di tre città fieramente nemiche sin dal Medio evo come Livorno, Lucca e Pisa.
La Bergamo che sfila attorno agli alpini è, ancora, un ponte fra storia e futuro: quello gettato dal telefonino di ultima generazione con cui un ragazzo cattura, alla partenza, l'immagine di un alpino con l'uniforme della Grande guerra. È la Bergamo delle mamme che dal Carso, alla Russia, all'Afghanistan sono il volto silenzioso e sofferente della gloria alpina. E dal corteo – quando arriva il momento meno istituzionale, quello di gruppi e sezioni – in tanti mandano baci e auguri per la Festa della mamma. Baci e auguri alle mamme, carezze ai bambini, molti dei quali hanno più o meno l'età che avevano i loro genitori quando, nel 1986, Bergamo sfilò per l'ultima volta davanti alle penne nere.
È la storia degli alpini, fatta di valori e ideali che si tramandano attraverso le generazioni.
Piero Vailati il 10/05/2010 - L'Eco di Bergamo
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