L'ammassamento ieri alle 7 in piazza S. Anna fra timore di pioggia, ricordi, sindaci, fanfare e cappuccini
«Che cosa penso quando penso a quei giorni? Mi viene da piangere. Mi viene da piangere per i miei amici che sono andati in Russia e non sono tornati. Dovevo partire anch'io, ma in quei giorni è morta mia mamma, mi hanno dato la licenza e ho saltato la partenza. Poi mi hanno mandato in Africa». I veterani si avvicinano alle jeep, sugli automezzi storici dell'esercito e del corpo degli alpini. Sono le 8.15 e sopra Piazza Sant'Anna, il cielo minaccia acqua, ma le previsioni danno tempo accettabile, tutti pensano che non pioverà. I veterani sono meno di un centinaio. Arrivano da tutta Italia. Giuseppe Pelini è di Lovere, lo chiamano Pipi. Ha 88 anni e il cappello consumato, liso, vissuto fino in fondo. «Questo l'avevo su quando ero in Africa, nell'oasi a fare il telegrafista. Poi ci hanno presi gli inglesi. Lo scriva che non ci davano da mangiare, lo scriva che di notte andavamo a rubare le cipolle in un campo perché morivamo di fame. Questo cappello me lo porterò nella bara con il ricordo dei miei compagni che non ci sono più».
I mezzi storici sono qui fermi in via Ghislandi, incolonnati verso piazza Sant'Anna, l'ammassamento è a buon punto. In questa striscia di cento metri di asfalto ci sono cento anni di storia. Ci sono i ragazzi della «mini-naja» e ci sono gli ultimi reduci che hanno varcato la soglia dei novant'anni. I ragazzi tengono uno striscione, c'è scritto: «Noi dopo di voi». Il senso della continuità. Il progetto del ministero della Difesa si chiama «Pianeta Difesa». Dice Marco Mauri, di Adro, fisico da culturista e maglietta a maniche corte nonostante i dieci gradi: «Siamo ragazzi nati fra il 1986 e il 1990, a settembre abbiamo fatto un periodo di quindici giorni in caserma a San Candido. È stata una grande esperienza. Alcuni di noi hanno fatto poi richiesta di poter svolgere il servizio militare, qualcuno è stato preso, qualcun altro no». Emiliano Andreotti ha 22 anni, è di Pisogne, dice: «Mi hanno preso, parto a giugno per una ferma di un anno. Sono davvero contento, l'esperienza di Candido mi ha convinto, ma già avevo l'idea di fare l'alpino. Anche per continuare la tradizione della mia famiglia, anche mio padre era alpino». E ci sono anche le ragazze. C'è Martina Manighetti che è di Boltiere, ha 19 anni, dice: «Abbiamo fatto solo quindici giorni, è vero, ma noi adesso ci sentiamo alpini, ci sentiamo pienamente alpini».
Ci sono i sindaci della provincia di Bergamo, un bosco di gonfaloni che sale verso la striscia di grigio cielo di via Angelo Mai. Dice Pier Antonio Piccini, sindaco di Azzone: «Siamo orgogliosi di partecipare alla sfilata, ma non abbiamo portato il gonfalone: è troppo pesante. Ma ci siamo, siamo qui».
Si avvicina il momento della partenza. Si prepara il gruppo dei consiglieri nazionali Ana, in giacca blu. Uno dei tanti addetti al servizio d'ordine si rivolge a una ragazza della mini naia: «Se non hai il cappello non puoi sfilare!». D'incanto il cappello salta fuori, la ragazza è pronta.
Ultimi preparativi. Generazioni che si incrociano, che si guardano. Un testimone che passa. Uno dei più vecchi alpini è Giuseppe Pietro Algeri, 98 anni, di Bergamo. È lucido, sorridente, dice: «Per la precisione io sono di Redona, quando sono nato io, nel 1912, Redona era un Comune indipendente da Bergamo... Quando è scoppiata la guerra avevo 28 anni. Sono stato sul fronte francese, poi mi hanno mandato in Russia, ero nel gruppo Valcamonica della divisione Tridentina. Mi sono salvato, perché ero un autista. Era il 17 gennaio e me lo ricordo bene, eravamo verso il tramonto, le quattro del pomeriggio. Là sul Don eravamo spostati di due ore rispetto all'Italia. Ci hanno attaccato i russi, io ricordo le truppe d'assalto che venivano avanti, io ho capito che si metteva male, subito, e ho tagliato la corda. Ho preso il mio camion e sono tornato indietro di venti chilometri, a Podgornoje. Lì ho saputo che eravamo accerchiati. Ho lasciato il camion e ci siamo avviati a piedi, c'era anche mio cugino Domenico Algeri. La sera, verso le sei, abbiamo avuto uno scontro a fuoco, ma siamo passati. Mio cugino da quel momento non l'ho mai più visto. Si combatteva con i fucili, si combatteva all'arma bianca».
Anche la fanfara della Tridentina prende posto, il pubblico riempie lo spazio dietro le transenne. Angelo Pandolfo è un consigliere nazionale Ana, viene da Verona. Raggiunge il suo gruppo che sfilerà tra i primi: «Sarà una lunga giornata, prevediamo che gli ultimi sfileranno stasera... Speriamo che il tempo tenga. Ogni anno ribadiamo il nostro essere alpini, il nostro credere nel nostro Paese, nella sua unità, nella sua solidarietà, nell'onestà, nell'esigenza di progresso di cui tutta l'Italia ha bisogno. Gli alpini non fanno politica, ma ci sono valori fondamentali, dai quali non derogano. Siamo un'associazione fortemente unita, coesa, ma non siamo chiusi in noi stessi, lei sa tutto il bene che fanno gli alpini? Quello che si conosce è solo una parte della realtà. Ma questa è l'Italia dei nostri nonni e dei nostri padri, loro ci hanno anche lasciato le vita. Noi dobbiamo andare avanti».
Nelle strade che portano all'ammassamento gli addetti alla pulizia della città sono al lavoro, alacremente. Molti bar sono aperti, molti alpini ordinano cappuccini, ma c'è chi parte subito con il bianchino e con il panino. Alcuni fornai hanno già tirato su la saracinesca. Alle sette in punto le gradinate di viale Papa Giovanni erano già in buona parte occupate. Un anziano alpino se la prende con le esagerazioni della notte: «A noi del servizio d'ordine ci hanno strappato il cartellino di riconoscimento, qua. Robe da matti. C'erano troppi ragazzi ubriachi, io penso che i veri alpini fossero una minoranza. C'era un tipo ubriaco fradicio che guidava uno di quei trabiccoli. Bisognava sequestrarli come hanno fatto a Latina». Comincia a piovere, d'improvviso l'acqua scende forte. Arrivano le autorità, le auto blu sbucano da via Borgo Palazzo, svoltano in via Angelo Mai. Il popolo alpino non capisce, mormora, un po' fischia. Gli automezzi fanno marcia indietro. Scendono il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, senatore Carlo Giovanardi e il generale comandante delle truppe alpine Alberto Primicerj. Sotto la pioggia battente si fermano davanti al labaro decorato dell'Associazione nazionale alpini. Gli alpini approvano. Si schierano anche le autorità. Sono le 9.05: si parte. Si mettono in marcia i militari, i sindaci, le autorità, la fanfara... Sono le 9.20 quando smette di piovere. Comincia una lunga, importante giornata.
Paolo Aresi il 10/05/2010 - L'Eco di Bergamo
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