Naia e adunate, alla Trucca il fiume in piena dei ricordi Stampa

La vita dura delle reclute negli anni Cinquanta. «Io, infermiere per caso». L'ultimo conducente di mulo: quando mi congedai volevo portarlo a casa

Non ci sono mezze misure: rischi sempre di finire a piangere con gli alpini, capaci di commuoverti quando fanno sul serio come di farti ridere, appunto fino alle lacrime, se il discorso si fa leggero. Certo, all'accampamento del parco della Trucca il messaggio che si diffonde nell'aria frizzante del primo mattino insieme al fumo di costine e cotechini (con l'immancabile bicchiere di quello buono) è abbastanza chiaro: ci vuole un fisico bestiale per affrontare un'adunata.

 


Lo sanno bene le penne nere di Zuclo e Bolbeno, in Trentino: un'agguerrita pattuglia di amici fra i 60 e i 65 anni nella quale Fabio è il veterano delle adunate: «Quarantuno e tutte belle – dice – anche se quella che mi è rimasta più impressa è quella di Catania, forse perché eravamo fuori dalle nostre sedi più tradizionali». «E poi era bello il percorso della sfilata, tutta dritta» suggerisce qualcuno del gruppo, preoccupato di dover affrontare oggi troppe curve dopo un paio di nottate impegnative in compagnia. «Peccato tutta questa pioggia, ma l'umidità si combatte bevendo: umidi fuori, umidi dentro» dice Luigino, l'anima della compagnia con le sue barzellette e i suoi aneddoti da infermiere militare senza averlo mai fatto da civile. Una volta gli capitò di esagerare con l'alcol, ma non era questione di sete, né di umidità: l'alcol lo gettò in quantità industriale su una ferita delicata e il malcapitato paziente-commilitone, racconta lui, «xe partìo che 'l pareva el Gato Silvestro dei cartoni animati, poarèto».
Antonio Caglio da Giussano (Milano) – 79 anni e 55 adunate con quella di Udine nel 1996 al primo posto tra i ricordi – fu di leva a Brunico nel 1952 «quando la naia durava 18 mesi e alle reclute se ne facevano di tutti i colori». E via con gli aneddoti, dai quali risulta chiara la genesi della definizione «da caserma», ormai entrata nel linguaggio comune. «Siamo un'ottantina – dice Benvenuto Sala, 75 anni – e aspettiamo i giovani, una quindicina: sono partiti ieri notte dopo una festa di addio al celibato, stanno arrivando a piedi. I chilometri? Mah, saranno una sessantina».

 


Anche gli alpini di Vinadio (Cuneo) hanno atteso a lungo un paio dei loro giovani: partiti la sera prima, hanno iniziato i festeggiamenti lungo la strada e sono arrivati alla Trucca ieri mattina alle 8, sventolando un foglio di dimissione dal Pronto soccorso, dove avevano trascorso una nottata difficile. «Colpa del freddo», assicurano agli amici, che per spiegare la situazione attingono al vocabolario (anche gestuale) dell'edilizia: «Erano "in bòla" (orizzontali, quindi stesi, ndr) ma sono tornati "a piombo" (perpendicolari, cioè in piedi)». Tutto sistemato, comunque, anche perché – ricordano rifacendosi a una celebre battuta di Totò – «siamo uomini di mondo, abbiamo fatto il militare a Cuneo». Maurìn, il giovane capogruppo (31 anni) allarga le braccia sconsolato.
Elogi da tutti per il campo della Trucca, al cui allestimento hanno provveduto – con gli altri gruppi della Valle Brembana – anche gli alpini e i simpatizzanti del gruppo di Dossena, sotto il cui tendone è in corso un'accesissima partita a morra: «Siamo alla "bella" – protesta uno dei contendenti – ma loro sono dopati. Hanno bevuto acqua naturale, sostanza vietata dal nostro regolamento». Ma che effetto fa «giocare in casa» per l'adunata dopo tanto tempo? «Ci sono pro e contro – dice il veterano del gruppo, Mansueto Omacini – è bello avercela a Bergamo, ma è anche bello andare un po' in giro: personalmente ho bei ricordi soprattutto di quelle a Roma, Trento e Trieste».

 


Mauro Zeraschi – 44 anni, originario di Brodi (Parma) e militare a Feltre, nel Bellunese, nel 1986 – fu uno degli ultimi conducenti di mulo: «Quando ci congedammo – racconta – ci dissero che chi voleva poteva portarsi a casa il suo mulo. Io vivo in campagna, abbiamo le mucche da latte: un mulo non ci serviva, ma un pensierino a portarmi a casa il mio Jesolo lo feci. Cambiai idea quando sentii la reazione di mio padre al telefono... Un altro dei nostri muli, la Raspa, aveva invece una strana abitudine: almeno una volta al giorno si slegava da sola, nessuno ha mai capito come, ed era rischioso cercare di fermarla finché non era riuscita a rotolarsi un po' nel giardino della moglie del generale. Poi tornava docile come un cagnolino. Per fortuna il generale e la moglie diventarono i primi a divertirsi e a voler bene all'animale».
 

Piero Vailati il 09/05/2010 - L'Eco di Bergamo

 

 
 

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