«Noi russi del Don fieri dell'amicizia con le penne nere» Stampa

Il professor Morozov: ora studiamo i rapporti tra la gente. Ritrovate recentemente cinque piastrine di soldati italiani

 

 

MoscaIl medio Don continua a restituire cimeli di un passato ormai lontano, ma mai dimenticato. Qui quasi centomila nostri ragazzi immolarono la loro vita in una guerra sbagliata. «Abbiamo – ci dice con la voce piena di soddisfazione al telefono da Rossosch il professor Alim Morozov – cinque piastrine, che, purtroppo, non sono in buone condizioni e a fatica si lasciano decifrare. Siamo pronti ad inviarle alle famiglie dei caduti o a lasciarle in esposizione al museo».
Soltanto una appartiene certamente ad un alpino, le altre sono di fanti o di militari del genio. In località Tropilo, dove si ergeva la linea di difesa della divisione Cuneense, è stata rinvenuta quella di Pietro Bressano, classe 1916, 1° reggimento alpino, 11ª compagnia, matricola 529/79/915. Due altre sono state ritrovate a Novaja Kalitva.
Alim Morozov è il maggior specialista russo della campagna del Don, una vera leggenda per i tanti italiani venuti a Rossosch: chi a rivedere i luoghi dove aveva combattuto in gioventù chi a portare un fiore in una terra lontana che si è presa per l'eternità un proprio caro. «Sono sempre stato mosso – spiega il professore – dalla curiosità di sapere cosa fosse successo ai miei conoscenti». Morozov, che allora aveva 10 anni, visse per mesi gomito a gomito con gli italiani, che poi rivide passare mestamente per le strade della sua città verso la prigionia dopo l'avanzata sovietica.
È anche grazie ai suoi sforzi che i due popoli sono riusciti a scrivere, in una regione insanguinata da un conflitto spaventoso, una pagina di inusuale amicizia e fratellanza. Senza l'aiuto dei governi, tra il 1992 ed il 1993, oltre 750 volontari dell'Ana hanno costruito a Rossosch un asilo dove un tempo era stato posto il Comando d'armata alpino. Ogni anno 150 bambini hanno la possibilità di studiare in un ambiente all'avanguardia. «Non servono monumenti. Ritroviamoci coi russi nell'infanzia», aveva rimarcato il bergamasco Leonardo Caprioli, presidente dell'Ana, quando partì l'iniziativa.
Nella stessa struttura ha sede il museo dedicato a quei tragici mesi a cavallo tra il 1942 e '43 ed un mini-centro culturale dove, due volte all'anno, Gianna Valsecchi ed alcuni studenti dell'Università di Bergamo insegnano l'italiano. «Sulle battaglie si è già scritto tanto e probabilmente non si aggiungerà niente di nuovo – sostiene Morozov –, ma è il lato umano quello che va ancora studiato, i rapporti tra la gente».

 


Il professore sta preparando un secondo volume, dal titolo «La mia scoperta dell'Italia», in uscita tra la fine del 2010 ed il 2011 – se verrà trovata una casa editrice russa disposta a sostenere le spese di pubblicazione –. Il suo primo bellissimo libro, con prefazione di Mario Rigoni Stern, è stato tradotto in italiano in due edizioni dal Museo di Rovereto.
Morozov è un fiume in piena quando parla di tutte le storie che conosce. Le sue parole a fatica riescono a trasmettere i sentimenti reali di quel mondo di umanità uscito prostrato dalla barbarie della guerra. Dagli alpini congelati, accolti in casa e curati dalle donne di Rossosch a sprezzo dei pericoli, mentre si trascinavano verso la prigionia, alla triste vicenda di un dottore italiano della zona del Piave innamoratosi di una ragazza del Donbass con cui intrattenne, grazie ad alcuni amici, un'attiva ed incredibile corrispondenza fino a che l'Nkvd, la polizia politica di Stalin, gliela fece interrompere nel 1947, quando lei studiava all'università di Kharkov. «Giacomo ha cercato la sua Nina per decenni – ricorda Morozov –. Anche attraverso la Croce rossa. Ho radunato oltre 30 loro lettere. Alla fine lui la ritrovò, ma Nina era già morta da alcuni anni».
Dopo il crollo dell'Urss nel '91, a Rossosch si sono formate una decina di coppie miste. In estate, durante le vacanze, ci si rincontra. Ma la distanza è sempre troppa anche se da Voronezh, la maggiore città vicina, sono periodicamente organizzati voli charter per l'Italia e la superstrada del Don è stata di recente ricostruita. L'asilo è il fiore all'occhiello di questa nuova pagina, finalmente felice, l'ennesimo simbolo del grande cuore degli alpini.

 

Giuseppe D'Amato il 08/05/2010 - L'Eco di Bergamo

 

 
 

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